Prof. Nino Albarosa (Cremona)
LO SPIRITO DELL’INTERPRETAZIONE GREGORIANA
Sarebbe di oggettivo interesse cercare di indagare nella storia dell’interpretazione gregoriana; in qualche modo com’è avvenuto, ad esempio, nella modalità, in cui il genio di Jean Claire ha sfondato in modo retroverso il muro dell’octoechos ed è risalito, con risultati sorprendenti, alla modalità arcaica ed ai suoi sviluppi successivi ritornando poi, appunto, illuminandone le radici, all’octoechos, divenuto così punto d’arrivo, e non più di partenza.
Sennonché, cosa perfino banale, se le indagini sui documenti avvengono appunto su documenti; quelle interpretative non sono controllabili se non dall’invenzione degli strumenti di riproduzione: insomma da circa un secolo.
Eppure sono esistiti nel sec. XIX studiosi come Augustin Gontier o anche personalità eminentissime come il suo amico l’abate Guéranger, vero gigante del monachesimo benedettino francese dopo la Rivoluzione e fondatore dell’abbazia di Solesmes, i quali erano convinti che la tradizione popolare avesse salvato soprattutto il ritmo del canto gregoriano, dacché è nelle pievi e nei luoghi culturalmente non contagiati che si ritenesse tramandato quel modo di cantare, che le plebi non potevano avere inventato, sibbene ricevuto a loro volta: un modo cioè fondato su una corretta intelligenza del testo e procedente secondo il suo ritmo.
La polemica era evidente: si voleva combattere contro quei dotti dell’epoca che tendevano a fare del canto gregoriano un canto slegato dal senso e dal ritmo del testo, quindi mensurale o mensuraleggiante, e invece affermare quello che le indagini successive avrebbero dimostrato appunto come il più plausibile. In effetti, solo il genio degli studiosi legati al monastero di Solesmes ha potuto persistere sull’intuizione del testo, pur se mai ci sono state possibilità reali di ritenere l’altra parte, quella schierata per la mensuralità, come fondata.
L’equivoco nasceva dal fatto che, mancando sempre nei sistemi di scrittura qualsiasi indicazione di tempo, pareva lecito, paradossalmente, ritenere l’ipotesi mensurale non scartabile. E tuttavia è sufficiente possedere capacità di connessione per constatare come il segno neumatico – pensiamo soprattutto al più perfetto, come il sangallese –, calzi in modo mirabile appunto sul testo, meglio, sull’agogica
Ciononostante, qual è lo spirito dell’interpretazione gregoriana? Si può rispondere con relativa facilità. Acquisito cioè il dato semiologico, vale a dire grammaticale del canto, lo spirito risponde ad un’esigenza storica, che lo accomuna con la pratica universale dell’interpretazione. È bene spiegarsi meglio. Varie sono le culture degli interpreti, quale che sia lo strumento proprio; eppure le varie culture debbono intendersi sul senso di un compositore. Per esempio, non è lecito interpretare un compositore occidentale come se non lo fosse. Un direttore d’orchestra cinese, per esempio, che interpreti Mozart, deve stare allo spirito mozartiano così come lo tramanda l’Occidente. E questa è una prerogativa che vale per tutti quale che sia la cultura d’origine, pur se un tasso di soggettività deve essere ammesso. Allo stesso modo il canto gregoriano è un canto dell’Occidente, ed è dello spirito storico e culturale dell’Occidente che dev’essere permeato, anche qui pur con certa caratterizzazione soggettiva dell’interprete. Senso del testo, quindi, grammatica del segno che al testo è strettamente congiunta o meglio con-costituzionale; spirito, per finire, occidentale sono gli elementi che rendono “autentica” l’interpretazione gregoriana. del testo. Oggi comunque è molto più agevole che un tempo, poiché gli studi sul neuma, detti semiologici, hanno fornito chiavi di straordinaria lettura.
Nino Albarosa
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